Salute, preoccupati per attacco destra salute donne
Salute, preoccupati per attacco destra salute donne.
Negli ultimi anni si è assistito a una considerevole crescita del concetto di medicina di genere. Con questo si intende, in particolare, l’analisi della diversità nella manifestazione clinica di alcune malattie e nella conseguente risposta ai trattamenti di uomini e donne. Di pari passo, sono cresciuti lo studio e la consapevolezza legati al fatto che lo stesso sistema immunitario si comporta in modo diverso tra uomo e donna. Sviluppare ulteriormente una medicina di genere, dunque, diventa ancora più necessario, non solo perché, tenendo conto delle differenze tra uomini e donne, è possibile abbassare il rischio di mortalità e migliorare l’efficacia delle cure, ma, allo stesso tempo, perché è doveroso che ci si faccia carico – a partire dalle Istituzioni – delle differenze sia di sesso che di genere, dato che quest’ultime nascono da componenti sociali e culturali. Tuttavia, negli ultimi giorni stiamo assistendo da parte della maggioranza a un attacco che ha pochi precedenti al diritto alla salute delle donne. Un attacco che ci preoccupa enormemente e che va esattamente nella direzione opposta a quella auspicata. Ed è bene ricordarlo nella Giornata Nazionale della Salute della Donna che si celebra oggi, lunedì 22 aprile.
Se da una parte, grazie alla Legge 3/2018 è stato compiuto un passo importante anche se assolutamente non sufficiente verso l’applicazione e la diffusione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale con la previsione di un piano per divulgare, formare e indicare pratiche sanitarie che nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale in modo omogeneo sul territorio nazionale, dall’altra non possiamo non dirci sgomenti per i passi indietro che sta compiendo la destra, con un attacco scomposto alla salute riproduttiva delle donne, con il tentativo di limitare l’esercizio del diritto all’interruzione di gravidanza previsto dalla legge 194. Con l’emendamento – approvato nell’ultimo provvedimento sul PNRR – per far entrare le associazioni prolife nei consultori si interviene su un diritto già sotto attacco, visto la difficoltà di accedere alla pratica per troppe donne a causa della presenza predominante di medici e ginecologi obiettori e del depotenziamento della rete dei consultori che così non sono più in grado di assolvere pienamente al compito per cui sono nati: tutelare la salute della donna lungo tutto l’arco della sua vita. Questa forzatura si aggiunge alla decisione di distribuire la pillola anticoncezionale gratuita solo fino ai 26 anni e solo in ospedali e in consultori, limitando accesso ed equità della cura, a danno sempre delle donne.
Se a questo quadro aggiungiamo la riforma dell’autonomia differenziata che allargherà enormemente i divari in materia di salute, ci rendiamo conto che la tutela e la promozione della salute delle donne rischiano di subire un drammatico arretramento. Sono i dati a dire chiaramente che la strada da compiere è ancora lunga: per l’Istat l’8,3% delle donne italiane denuncia un cattivo stato di salute, rispetto al 5,3% degli uomini. Le donne hanno una probabilità 2 o 3 volte maggiore rispetto agli uomini di essere colpite da depressione o disabilità; una maggiore possibilità di sviluppare un tumore ai polmoni; una doppia probabilità di contrarre una malattia sessualmente trasmessa; si ammalano di anoressia il 95% in più rispetto agli uomini; alcune patologie colpiscono di più le donne rispetto agli uomini: osteoporosi, malattia della tiroide; depressione e ansia; cefalea ed emicrania; morbo di Alzheimer; artrosi e artrite; calcolosi; ipertensione arteriosa; alcune malattie cardiache; diabete. Le donne sono spesso caregiver e rinunciano anche a causa del non riconoscimento del ruolo a curarsi, oltre a rinunciare al lavoro.
Il decisore politico, dunque, è chiamato a farsi carico, sempre più, della necessità di incidere sui presupposti culturali che guidano le prassi sanitarie, uscendo il più possibile da stereotipi e pregiudizi e valorizzando le esperienze in grado di produrre percorsi e azioni di educazione alle differenze, per accrescere la capacità dei professionisti della salute di offrire risposte più aderenti alle specificità e ai bisogni delle persone.