80esimo anniversario della Strage di Cervarolo: il mio intervento
80esimo anniversario della Strage di Cervarolo: il mio intervento.
Domenica 24 marzo sono stata invitata per l’orazione ufficiale e civile in occasione dell’80esimo anniversario della Strage di Cervarolo. Di seguito il mio intervento.
Non è semplice intervenire oggi, qui nell’aia di Cervarolo, 80 anni dopo un episodio che ha così tanto segnato le nostre comunità, la nostra coscienza e la nostra storia collettiva.
Sul sangue dei martiri di Cervarolo – e delle migliaia di altri come loro – sono stati fondati sia i princìpi cardine della nostra Costituzione, sia l’esistenza stessa dell’Europa, così come l’abbiamo conosciuta finora. Per questo, dal sacrificio di allora sono nati quegli stessi semi di pace, giustizia e democrazia con cui noi tutti siamo cresciuti.
Ecco perché io credo che i martiri di Cervarolo, osservando questa nostra realtà di oggi, sarebbero amareggiati o forse si sentirebbero mortificati. Come se fossero nuovamente uccisi e umiliati, trovandosi di fronte a una guerra di conquista che insanguina il cuore d’Europa (Ucraina), di fronte a migliaia di civili massacrati in medio oriente (parliamo di circa 30.000 civili), di fronte ad argomentazioni nazionaliste, ideologiche, razziste che sono alla base di tanti movimenti e partiti politici che aspirano a governare la nostra Europa e i nostri paesi – e, purtroppo, molte volte ci riescono – nel nome della prevaricazione e dell’esclusione degli altri.
Ma non solo.
I martiri di Cervarolo – con tutto ciò che hanno subito – credo si sentirebbero ancora una volta umiliati – umiliazione che è anche nostra – nell’assistere a una forza di polizia di un paese democratico che manganella con violenza i propri studenti (e mi riferisco ai fatti di Firenze), a un sistema carcerario volto unicamente a schiacciare le persone (basti pensare che nel 2024 sono 25 i suicidi in carcere ad oggi), alla diffusione della violenza come forma di potere e sistema di relazione, alle adunate nostalgiche e ai saluti romani (e voglio qui ricordare i fatti di Acca Larentia), alle donne discriminate, abusate e poi uccise ( 20 i femminicidi nei primi mesi del 2024, 18 dei quali avvenuti in ambito familiare), a tutte quelle persone che escono di casa al mattino per andare al lavoro e non vi fanno più ritorno (45 nel solo mese di gennaio, 145 dopo il crollo di Firenze, 181 se consideriamo anche le morti in itinere), vittime di incuria, superficialità, indifferenza, a quella enorme tomba che è diventato il nostro mar Mediterraneo, in cui sono morti negli ultimi 10 anni circa 28.000 persone.
Non bisogna pensare che il fascismo di ritorno si ripresenti con le stesse forme e modalità di quello di un secolo fa. D’altra parte, sappiamo che il fascismo e i fascisti amano stare nascosti, muovendosi al riparo della loro stessa vigliaccheria, per non mostrarsi immediatamente per quello che sono. In fondo, hanno agito così anche a Cervarolo e in tanti altri episodi di quel periodo, dove i tedeschi sono stati gli esecutori, ma hanno potuto contare sul supporto delle truppe fasciste di italiani, che li hanno condotti, guidati, su per le nostre strade e per le nostre montagne, a far strage di loro concittadini, civili innocenti, per poi ritornare a sparire nell’ombra. Mai si era vista nel reggiano, fino a quel 20 marzo 1944, una così atroce rappresaglia e di fronte a questi fatti – è bene ricordarlo – i fascisti locali non solo non inorridirono, loro che tanto avevano la Patria nel cuore, ma parteciparono vigliaccamente alla barbarie, come se si trattasse di un ordine da eseguire o di una semplice formalità.
“Formalità” è un termine che, a volte, deve metterci in allarme e sul quale voglio soffermarmi, per fare alcune considerazioni con tutti voi. Da definizione, è un modo di procedere fissato da una norma disciplinatamente accolta e rispettata. Per questo, i partigiani, per esempio, erano “ribelli” (“siamo i ribelli della montagna” diceva la famosa canzone del 1944), perché si ribellarono alla “formalità” dell’atrocità, alla burocrazia della dittatura, a una normalità che negava la libertà.
Dunque, esiste una sorta di “formalità” distorta anche oggi, la stessa che viene invocata – se vi prestate attenzione – per giustificare una inutile carica della polizia, così come l’ennesimo, tragico, naufragio di un barcone di migranti: sono tutte “formalità”, apparentemente innocue, ma che insieme dipingono un quadro e una realtà inquietante.
“Formalità” sono anche le giustificazioni che sono state date per motivare gli assurdi ritardi nei risarcimenti ai famigliari di quelle vittime. Faccio un passo indietro, perché è anche uno dei motivi per i quali sono qui, oggi, a parlarvi.
La lunga scia di sangue nazifascista di quel drammatico biennio 1943-1945 è rimasta per decenni senza giustizia ed è riemersa solo dopo il 1994 grazie alla scoperta del cosiddetto “Armadio della Vergogna”: 695 dossier e un registro generale con 2.274 notizie di reato, raccolte dalla Procura generale del Tribunale supremo militare, relative a crimini di guerra commessi in Italia dalle truppe nazifasciste, archiviate “temporaneamente”, secondo una modalità che di fatto non esiste nell’ordinamento italiano. Una formalità.
Tra quei fascicoli era presente anche la strage di Cervarolo. Fra le vittime, anche i familiari dell’avvocato Italo Rovali, che perse suo zio omonimo, suo nonno, all’epoca 52enne, e il bisnonno Antonio, all’epoca 84enne, che non venne risparmiato nonostante fosse infermo.
Da quella ferocia e da quella furia nazifascista non venne infatti risparmiato nessuno. Ricordo solo alcuni fatti accaduti quel giorno, per lasciare alla scuola – che ringrazio – la rappresentazione dei fatti di quel tragico 20 marzo 1944.
Dopo aver ammassato all’interno del recinto dell’aia del paese, sorvegliandoli con le armi puntate, tutti gli uomini che riuscirono a catturare (dopo averne uccisi due nel corso della mattinata nella loro stessa abitazione), si recarono dal sacerdote della comunità, don Giovanni Battista Pigozzi, obbligandolo a firmare un documento in cui avrebbe dovuto dichiarare che gli arrestati erano tutti partigiani. Don Pigozzi, con grande coraggio, rifiutò di sottomettersi alle minacce, tanto che, dopo essere stato denudato e coperto di sputi, fu spinto anch’esso nell’aia, insieme a uomini di età compresa tra i 17 e gli 84 anni. Dopo aver razziato quanto potevano, i tedeschi fecero allontanare le donne e mitragliarono a sangue freddo tutti i prigionieri, procedendo poi a dare alle fiamme le case del paese. Furono 24 i civili trucidati nell’aia di Cervarolo.
Voglio qui ricordare, non me ne vogliano i presenti, l’avvocato Italo Rovali, presidente dell’associazione Vittime di Cervarolo, perché è grazie alla sua incessante e coraggiosa opera che si è giunti – come sapete bene – alla storica sentenza su Cervarolo, dopo 67 anni e 44 udienze, una sentenza che ha segnato una pagina fondamentale nella giurisprudenza per i risarcimenti ai familiari delle vittime: la Corte, infatti, ha condannato lo Stato Federale Tedesco al pagamento dei risarcimenti alle parti civili in quanto corresponsabile morale, oltre ad aver condannato all’ergastolo 7 ex ufficiali nazisti. La Germania però, esimendosi dalle sue responsabilità, non ha dato seguito a quelle condanne e ai risarcimenti, ma la situazione sembrava essersi sbloccata nel 2022, quando, con un decreto apposito emesso dall’allora Governo Draghi, venne stanziato un fondo di 60 milioni di euro per procedere ai ristori per le famiglie delle vittime.
Eppure, nonostante ci siano oltre 20 sentenze definitive riguardanti stragi come quella di Cervarolo, l’Avvocatura dello Stato ha metodicamente sempre impugnato le sentenze di primo grado, attaccandosi a ogni cavillo – formalità – per non risarcire quanto dovuto ai famigliari delle vittime.
Insieme al collega, On. Andrea Rossi, ho dunque firmato un’interpellanza in merito, che ho presentato intervenendo personalmente nell’Aula di Montecitorio. E’ stato emozionante portare in aula i fatti di Cervarolo, che ho ricordato in modo puntuale e dettagliato, perchè l’eccidio di Cervarolo non rappresenta una pagina di storia locale, ma una pagina di storia nazionale.
L’ho fatto con orgoglio, perché parlando di questi fatti, ho avuto la possibilità di ricordare come tutto il territorio reggiano abbia dato un contributo fondamentale, partecipando attivamente e convintamente alla resistenza, alla lotta di liberazione del regime fascista e alla costruzione di uno stato democratico.
In questa vicenda la cosa che ci ha lasciati maggiormente stupiti è stato il silenzio del Ministero dell’Economia di questi mesi, cui ha fatto seguito una risposta dal tono formale e burocratico, senza nessuna parola di umanità, ma semplicemente barricandosi dietro una procedura amministrativa per non affrontare il tema. La risposta è stata semplicemente una formalità. Mi spiego meglio. La sottosegretaria Savino, che ha risposto alla nostra interpellanza, ha semplicemente detto che la domanda va rifatta, in quanto l’istanza di indennizzo è stata presentata il 26/06/2023, subito giudicata inammissibile, in quanto il decreto che dava attuazione all’articolo 43 del DL 36/2022, che individuava le modalità di accesso al fondo, è stato adottato ben due giorni dopo, il 28/06/2023. Peccato che l’avvocato Rovali sia stato contattato solo qualche giorno prima che la nostra interpellanza venisse discussa in aula. E se non avessimo fatto l’interpellanza, lo avrebbero chiamato? Diciamo che qualche dubbio legittimo resta. Del resto non ci risulta ad oggi nessuna notizia di risarcimenti pagati. Anche questo non ci sembra un caso.
Purtroppo, infatti, non si tratta dell’unico caso in cui il Ministero sta evitando di pagare l’indennizzo. Questi fatti ci preoccupano, perché lasciano un dubbio rispetto alla vera volontà politica della maggioranza, che invece dovrebbe essere cristallina, rispetto alla fase più buia della nostra storia. Ciò che emerge è che il Governo non ha, con il suo agire, mai condannato in toto quegli episodi, non ha mai staccato il cordone ombelicale dalla sua storia e non ha mai tagliato le radici dalla sua cultura, non è mai riuscito a dire una parola di condanna su fatti di matrice fascista di oggi e di ieri. I suoi atti, e le sue assenze, testimoniano invece una tendenza al disinteresse, forse perché è l’unico modo per lavarsi la coscienza, evitando di parlarne.
La nostra Repubblica è fondata sulla tragedia della Seconda guerra mondiale e sui valori della Resistenza e non si possono e non si devono avere dubbi da che parte stare in dibattiti come quello odierno. Non deve nemmeno pensare di opporsi a una richiesta come quella presentata dai parenti delle vittime, arroccandosi dietro un iter amministrativo. Una Repubblica come la nostra deve professare con il suo agire i valori da cui è nata e cui si fonda. Per questo continueremo a monitorare la situazione di Cervarolo e assisteremo le famiglie delle vittime fino a quando questa vicenda non sarà conclusa.
Viviamo una quotidianità – oggi – in cui un Ministro della Pubblica Istruzione riscrive a modo suo la storia, mistificandola, dirigenti scolastici fanno cantare “Faccetta nera” (è successo a Teramo in Abruzzo in occasione del giorno della memoria – e guarda caso poi quella dirigente scolastica si è candidata alle regionali nelle liste di FdI) e un sottosegretario – di cui non voglio ricordare il nome – si traveste da gerarca nazista “per goliardia”: sono tutte “formalità”, come lo sono le scuse accampate dopo ogni singolo episodio che contraddice quanto scritto in Costituzione, cercando di sminuire o di giustificare questi gesti con la solita arroganza.
Ma noi non possiamo fermarci alla “formalità” e non possiamo accontentarci delle scuse: il fascismo, per quanto nascosto nelle sue varie forme, bisogna guardarlo negli occhi e chiamarlo con il suo nome. E non è possibile sottrarsi dal farlo, in nessun modo.
Perché?
Semplicemente per loro, e per le loro vite spezzate: Marco Alberghi, 26 anni, contadino; Egisto Alberghi, 18 anni, contadino; Giacomo Alberghi, 69 anni, contadino; Alfredo Alberghi, 63 anni, contadino; Emilio Alberghi, 68 anni, contadino; Mauro Alberghi, 69 anni, sfollato; Cesare Borea, 82 anni, contadino; Adolfo Croci, 43 anni, contadino; Ennio Costi, 45 anni, contadino; Lino Costi, 20 anni, contadino; Armido Ferrari, 17 anni, contadino; Paolo Fontana, 29 anni, contadino; Remigio Fontana, 76 anni, falegname; Amerigo Genesi, 61 anni, calzolaio; Sebastiano Maestri, 68 anni, contadino; don Giovanni Battista Pigozzi, 63 anni; Gaetano Paini, 75 anni, commerciante; Pio Paini, 42 anni, contadino; Antonio Rovali, 82 anni, paralizzato; Celso Rovali, 50 anni, contadino; Italo Rovali, 17 anni, contadino; Dino Tazzioli, 24 anni, ferroviere di Civago; Agostino Vannucci, 57 anni, contadino; Giovanni Vannucci, 34 anni, contadino.
Sono loro i 24 martiri di Cervarolo e a loro ancora oggi dobbiamo il nostro impegno, non solo nel pretendere che gli indennizzi vengano pagati, ma nel prenderci cura della nostra storia e della nostra democrazia, anche per loro.
L’Italia è una Repubblica Antifascista e lo dobbiamo dire senza orgoglio e senza la paura di essere identificati, come avvenuto alla Scala di Milano, perché se oggi possiamo esprimerci liberamente lo dobbiamo ai partigiani, alle partigiane, agli uomini e alle donne che hanno lottato per la nostra libertà e per la nostra democrazia. Lo dobbiamo anche a loro, ai martiri di Cervarolo, ai 24 martiri di Cervarolo, che oggi tutti noi siamo qui per ricordare e ridare loro, ancora una volta, la dignità che meritano.